Il mio nome era 125, è un libro che volevo leggere da tanto tempo... ma forse il coraggio in qualche modo mi mancava. Sì perché la storia di Piero, narrata da Matteo Beltrami, suo figlio, in qualche senso mi riguarda.
Mia nonna Lucia nel luglio 55' divenne madre. Ragazza madre.
A quei tempi la morale borghese Svizzera era molto severa nei confronti delle donne che davano alla luce figli senza un padre e un marito.
Migliaia di madri sono state separate dai loro figli. Alcune di loro sono anche state sottoposte a sterilizzazioni coatte. E qualora la bambina illegittima, crescendo dava indizi di un carattere "poco serio" veniva sottoposta anche lei a questo intervento irreversibile.
Le ragioni del perché una donna rimaneva in cinta potevano essere molte : per Amore, per inganno, per violenza, per ignoranza... Non importava quale fosse il motivo. Era pur sempre lei a portare il peso della vergogna e della discriminazione sociale. Non era permessa a una donna di crescere il proprio figlio nato fuori dal matrimonio.
Non conosco la storia del concepimento di mia madre.
Nonna Lucia in compagnia del mio probabile Nonno. |
C'è chi invece parla di una violenza subita sul suo luogo di lavoro, taciuta per i soliti motivi sociali in cui una donna violentata è la prima accusata. Rivelare l'accaduto non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione e rendere mia nonna una disoccupata.
Non parlò mai di chi era stato. A mia madre raccontò che era morto prima che nascesse... tanto che lei associò la morte di James Dean avvenuta nel 1955 con il padre, e credette a lungo che fossero la stessa persona.
A noi nipotine, quando facevamo domande, lei sviava e parlava del Nonno Delfino (in realtà il nostro bisnonno). Così nella nostra fantasia fanciullesca eravamo convinte che un delfino fosse all'origine del concepimento di nostra madre, ragion per cui non poteva essere presente a Natale e altre ricorrenze.
Fatto sta che mia nonna Lucia, si bendò il ventre per nascondere il suo stato, fino all'ultimo. Di costituzione è sempre stata minuta. Eppure, nessuno si accorse della sua gravidanza. Non smise mai di lavorare.
All'epoca era impiegata come domestica in una famiglia a Muotier, nel Canton Berna.
Sua sorella cadetta, Celia si era recata da lei per renderle visita.
Stavano passeggiando, quando Nonna Lucia diresse i loro passi verso l'ospedale. Celia ignara di tutto, la seguì senza farsi troppe domande. Finché non si trovarono davanti alla clinica. A quel punto mia nonna le disse che doveva entrare perché non si sentiva bene, e che lei poteva tornare a casa.
Mia mamma a 3 giorni di vita. |
Nonna Lucia riprese subito a lavorare.
Quando stavano insieme, le scattava molte fotografie. Testimonianza dell'affetto che non è mai riuscita ad esprimere a parole per questa sua figlia illegittima agli occhi di una società bigotta, eppur così tanto amata.
Mi si stringe il cuore ogni volta che sfoglio le pagine di quell'album. Mia mamma è stata tanto amata da sua madre... ed è come se lei non lo sapesse.
Oggi da donna e da madre, posso solo intuire quel che ha vissuto per nove lunghi mesi (o forse meno) e durante il travaglio.
Con quanto coraggio ha camminato al fianco di sua sorella, con le prime doglie che si facevano via via più intense, mentre cresceva la consapevolezza che da lì a poco il suo segreto sarebbe stato svelato. Stringendo i denti magari, per non lasciar trapelare il dolore di quel parto imminente. Con la mente invasa da quegli ultimi pensieri su come avrebbe annunciato la novella, su cosa ne sarebbe stato di lei. E il timore sempre più pressante di sapere se il bambino che si prestava a dare alla luce fosse ancora vivo, dopo tutto quel tempo passato costretto tra le sue viscere.
Quanto coraggio e quanta disperazione dovevano albergare in lei.
Gli aborti illegali erano diffusi, e avrebbe sicuramente potuto trovare chi l'avrebbe liberata da quel "imbarazzo". Ma lei scelse di tenere, seppur nascosta, la creatura che cresceva nel suo ventre. È stata una scelta ardita.
Avvolte immagino come potevano essere quei mesi trascorsi nella solitudine, senza poter parlare del suo segreto a nessuno. Quanto doveva essere pesante quel segreto...
Era sicuramente consapevole che quella scelta avrebbe condizionato tutta la sua vita. Ma chissà se come nella storia di Piero, pensava di trovare il modo di poter tener con se il suo bambino ?! O se già si fosse rassegnata a doverla cedere a un'istituzione che l'avrebbe cresciuta al posto suo, dandogli un educazione che secondo la morale dell'epoca lei non sarebbe stata in grado di darle ?!
Mia nonna non si sposò mai. Non ebbe nessun altro uomo nella sua vita. E senza questo suo atto d'Amore e coraggio io e i miei figli non saremmo qui oggi. E per questo sento una profonda gratitudine per questa donna che ha lavorato tutta la sua vita, senza mai chiedere niente a nessuno. Fu un'alpinista provetta, appassionata d'alta montagna, di minerali e dell'ecologia, era anche un'ottima cuoca. Ma soprattutto era la più dolce delle nonne che amava tramandarci le sue briciole di sapere.
A rievocare questa storia non posso evitare di essere assalita da cotanta tristezza. Quanta sofferenza inutile.
Un pensiero certamente va anche a mia madre, che è cresciuta in uno spazio ristretto del ventre costretto di mia nonna. Nutrita di vergogna, con il sentimento di non essere accettata, di essere sbagliata. E poi chissà cosa dovette subire come violenza fisica e psicologica solo per il fatto di essere nata. Quanto pesa un'infanzia maltrattata sulle spalle del bambino diventato adulto ?!
Quando sono nati i miei figli mi sono interessata allo sviluppo psicofisico nel neonato e del fanciullo. Tutti gli specialisti concordano nel dire che i primi anni sono formatori per l'adulto che verrà. In quegli anni ho iniziato a capire che quel che aveva vissuto mia madre sin da quando abitava il ventre della sua, fosse stato decisivo per la persona che era diventata.
Quando mia madre raggiunse l'età di 5 anni, mia nonna decise di tornare a vivere in Ticino. Non so cosa la spinse a tornare a Giubiasco. Forse il desiderio di riavvicinarsi alla sua famiglia, con la speranza probabilmente, di potersi tenere sua figlia. O forse per questioni di lavoro... non lo so.Fatto sta che mia madre entrò all'istituto Von Mentlen nel 1960... un anno dopo che il piccolo Piero uscì dallo stesso istituto di correzione.
Mia madre non parla di quel pezzo della sua storia.
L'unica cosa che è riuscita a dirmi è che "c'era solo una suora che era gentile con me, Suor Ancilla... ma rimase solo un anno".
E qualche episodio in cui si intuisce la violenza che lo ha generato, ma lei lo ha ripulito da qualsiasi negatività. La sua mente non si può permettere di ripercorrere certi ricordi.
Io in braccio a Suor Ancilla nel 1980. |
Non so come e cosa ha vissuto mia madre all'istituto Von Mentlen. Anche se non penso che il trattamento inflitto ai maschi fosse tanto diverso da quello che vivevano le femmine nell'ala accanto di quel bastione mastodontico.
Infatti leggendo il libro di Matteo Beltrami ho riconosciuto molto chiaramente l’eco delle violenze che hanno forgiato mia madre. Il suo pensiero, il suo modo di relazionarsi, di essere madre. Il suo modo di presentarsi al mondo... la sua incapacità a mantenere delle relazioni stabili nel tempo.
Non serbo rancore nei suoi confronti. Non posso averne per una vittima che non ha saputo e non ha potuto fare altrimenti. Sono certa che ha fatto del meglio che poteva con quel che aveva imparato dalla vita negli anni formatori della sua infanzia. È stata una vittima di un periodo storico cruento. E io con lei, colpita dall'onda d'urto di quel che ha vissuto mia madre in quel posto.
Non tutti i bambini che subiscono violenze riescono a liberarsi delle ombre che restano appiccicate alle loro anime. Pochi son quelli che si ritrovano, chissà come, equipaggiati degli strumenti per non riprodurre quella spirale di violenza che avvolte non si esprime nemmeno sotto forma di botte.
Mia madre in braccio alla suora nell'istituto che l'aveva accolta nel Canton Berna. |
Non esistono foto di mia madre in quel periodo.
Mia madre e mia nonna non sono mai riuscite a riallacciare un vero e proprio rapporto. Dai ricordi di bambina che ho, ci sono dispute, inganni, strilla, bugie e urla... avvolte anche bestemmie.
Penso sia cresciuto in mia madre un sentimento d'abbandono forte... troppo forte. Di quelli che fan nascere una rabbia e un rancore capaci di radicarsi in profondità, difficili da estirpare. E nel tempo stesso in mia nonna si saranno radicati la rassegnazione, la vergogna e la colpa. Sentimenti, anche se non espressi, agiscono come un diserbante per qualsiasi altra emozione positiva.
Due vittime di quel che oggi possiamo chiamare una vera e propria ingiustizia e abuso di potere da parte di un istituzioni di cui il primo obiettivo doveva essere quello di proteggere l'infanzia.
Per fortuna oggi le cose non sono più così. Le donne sole possono crescere i propri figli dignitosamente. E l'istituto Von Mentlen è stato riabilitato.
La storia di mia nonna Lucia, ve l'ho già raccontata attraverso il racconto di Shalini.
La storia struggente del piccolo Piero mi ha aiutata ad avere una comprensione sempre più chiara di quel che ha vissuto mia madre, e in questo modo mi ha permesso di attraversare la soglia del perdono.
Consiglio la lettura di Il mio nome era 125 a chiunque. Per non dimenticare. Per evitare che una cosa del genere si possa mai ripetere.
Dedicato a mia Nonna Lucia per la sua dedizione alla vita e il suo coraggio, e a mia mamma Che mi ha insegnato a meravigliarmi del mondo che mi circonda. Alle donne meravigliose della mia vita.
Con affetto e gratitudine!
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